Quando cominciai la mia carriera di servitore andai per la prima volta in una casa ove non guadagnai gran cosa, tranne l’aver imparato a compiere bene il mio servizio, ma di salario non ne vidi neppur l’ombra. Il mio padrone fallì, ed i suoi servitori soffersero di questo fatto come il rimanente dei creditori.
La seconda casa ove m’impiegai, però, mi compensò della prima. Ebbi la fortuna di entrare al servizio del signore e della signora Norcross. Il mio padrone era ricchissimo; possedeva il castello di Darrock e molte terre del Cumberland, un altro podere nel Yorkshire, ed una vastissima proprietà nella Giammaica, che in quel tempo rendeva moltissimo. Alle Indie occidentali egli aveva incontrato una giovane e bella signorina, istitutrice in una famiglia inglese, ed essendone perdutamente invaghito l’aveva sposata, sebbene essa fosse più giovane di lui di circa venticinque anni. Dopo il matrimonio vennero in Inghilterra, e fu in quel tempo che io ebbi la ventura di entrare al loro servizio.
Vissi coi miei nuovi padroni tre anni, essi non ebbero figli. Alla fine di questo tempo il signor Norcross morì. Egli era abbastanza avveduto per prevedere che la sua giovane vedova si sarebbe rimaritata; e perciò dispose che tutto il suo avere andasse alla signora Norcross prima, e poi ai figli che potesse avere da un secondo matrimonio, ed in mancanza di questo ai suoi parenti ed amici. Io nulla ebbi da soffrire per la morte del mio padrone, perché la sua vedova mi tenne in servizio. Io aveva curato il defunto signor Norcross durante la sua malattia, e mi resi abbastanza utile per attirarmi la gratitudine e la benevolenza della mia signora. Inoltre essa tenne al servizio la sua cameriera – una mulatta, chiamata Giuseppina, che aveva portata con sè dalle Indie. Anche allora io sentiva una certa ripulsione per quella donna, e il suo volto oscuro e crudele non mi andava a genio, e non so capire come la signora avesse riposto in essa tanto affetto. Il tempo mostrò che io non aveva torto a diffidare di quella donna.