Una città, della quale per molte ragioni è cosa prudente tacere il nome, ed a cui non voglio fabbricarne uno falso, si vantava, fra gli altri fabbricati, di averne uno ch’è pur comune a molte altre città, sieno grandi o piccole, cioè una casa di ricovero: ed in questa casa appunto, in giorno ed ora che non è bisogno ch’io mi faccia coscienza di ripetere, tanto più non essendo di grandissima importanza al leggitore, nacque il mortale, il cui nome è messo in fronte a questo capitolo. Per lungo tempo dopo che fu tratto in questa valle di lagrime dal chirurgo della parrocchia, si dubitò molto che il bambolo potrebbe sopravvivere tanto quanto bastasse per portare un nome qualunque; nel caso negativo sarebbe stato più che probabile che queste memorie non avrebbero mai veduto la luce, oppure, ancorchè apparse, si trascrivessero ad un pajo di pagine, talchè avrebbero pur avuto il merito inestimabile di essere il più conciso e fedele saggio di biografia che si rinvenga nella letteratura di ogni età e paese. Comunque non sia disposto a sostenere che l’essere nato in una casa di ricovero sia in sè medesima la più fortunata ed invidiabile circostanza che possa accadere ad un ente umano, io credo bene di dire che nel caso nostro fu per Oliviero Twist il migliore avvenimento possibile.